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4 buoni motivi per visitare il Museo diffuso di Cavallino secondo Loredana

1. Un balcone sulla storia

Un cancello di ferro zincato è l’ingresso da Piazzetta Fratelli Cervi al Museo diffuso di Cavallino. Il balcone sulla storia è un ingombro metallico stridente con la bellezza del paesaggio circostante.
Una signora capelli corvini, ricci, tagliati a carré corto sul collo,  ha gli occhi segnati da una spessa matita nera e  mi chiede se sono la guida che i ragazzi stanno aspettando e se può sciogliere il cane che ha al guinzaglio tanto è buono ed è attratto solo dalle cagnoline. No, io non sono la guida, sono qui per perdermi per un paio d’ore in un luogo a me caro.

2. Civiltà che si mescolano

E’ un primo pomeriggio di metà Ottobre, un leggero vento di maestrale e il sole splendente rendono i colori accesi, il verde dei prati  è più verde, il sentiero in terra rossa è rosso più che mai. Il  muro di cinta in pietre a secco a destra non ha nulla a che fare coi Messapi. Sono trenta ettari di terreno dove cresce spontaneamente la rucola, il tarassaco, la cicoria, la calendula, la malva. Dove i cumuli di pietre, le specchie, le pagghiare i fichi si confondono con le tombe, con le fortificazioni, con i resti delle case del villaggio arcaico.

3. Là dove c’era una città ora c’è l’erba

Passeggiando sui prati, prima ancora di arrivare nella zona nord-est dove è condensato il maggior numero di reperti riportati alla luce,  sentirete forte la presenza di qualcosa sotto i vostri piedi. Immagino che la maggior parte di voi camminando sui lastricati o sull’asfalto di una qualsiasi città contemporanea pensi ai prati che c’erano prima sotto.
Qui lo stesso ragionamento, ma al contrario.
Cammini su un prato ma sai che sotto ci sono i resti di una antica civiltà con le sue strade e le sue case. Quello che è successo qui nel V secolo a.C. è evidente nei segni lasciati sulle fortificazioni distrutte, sulle mura bruciate delle abitazioni, nelle cisterne d’acqua riempite di pietra.
Una distruzione violenta.
Impensabile nel quadretto arcadico di questo pomeriggio dove tutto trasmette pace e tranquillità, come solo un paesaggio rupestre può fare.
Se non fosse per le sagome dei guerrieri messapici in ferro battuto, opera di Ferruccio Zilli.

4. La quiete

Da bambina, parlo metà degli anni Settanta, intorno ai sassi della porta Nord ci giocavo con la mia amica Teresa  a “tuddhri” e a nascondino.  Suo padre coltivava il tabacco e il grano in quella terra fertilissima.  E malediceva i divieti di arare in profondità.
Sul finire degli anni Ottanta ci accompagnavo i miei amici olandesi della Libera Università di Amsterdam, studenti di archeologia a Lecce con Erasmus.
Ora ci torno per l’eternità che trasmette e per il senso di quiete.
La superficie delle cose è molto spessa a volte per poter arrivare in profondità, ma non qui.


Loredana Potenza di Cavallino, seppur per caso nata a lecce. Attualmente abito a Corigliano d’Otranto. Studi di archeologia mai completati. Il più bel ricordo lo scavo a Valesio con la Libera Università di Amsterdam, spedizione diretta dal prof. Boersma. Attualmente sono impegnata nel lavoro come responsabile alla segreteria e alla comunicazione di un’agenzia di rappresentanza nel settore casa e arredo. I figli sono cresciuti e coltivo i miei interessi : contemplazione dei paesaggi, passeggiate al mare soprattutto in inverno, scrittura creativa. Non ho molto da dire su me stessa . Bisognerebbe conoscermi di persona.


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