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VIII Convegno Nazionale Piccoli Musei

VIII Convegno Nazionale Piccoli Musei a Calimera

Dal 7 all’8 ottobre presso il “Nuovo Cinema Elio” a Calimera, VIII Convegno Nazionale Piccoli Musei: “Musei accoglienti: una nuova cultura gestionale per i piccoli musei”.
L’evento è organizzato dall’Associazione Nazionale dei Piccoli Musei e sarà allestito dalla segreteria organizzativa di Ghetoni che promuove l’Unione dei Comuni della Grecìa Salentina: l’area di origine greca si configura come l’elemento identitario qualificante di una comunità vasta.
Il professore Giancarlo Dall’Ara, presidente di APM, aprirà i lavori alle ore 15:30 del 7 ottobre: possono partecipare strutture museali pubbliche e private, Enti e Associazioni.
I “Piccoli Musei” sono dei musei accoglienti che coinvolgono gli ospiti che vi accedono: sono dei musei da vivere.
Di seguito il programma:

VENERDI 7 ottobre 2016
Ore 15.00
: registrazione dei partecipanti
Ore 15.30: Silvano Palamà, Coordinatore APM Puglia
Saluti   istituzionali:
Francesca De Vito, Sindaco Calimera
Ivan Stomeo, Presidente Unione Comuni Grecìa Salentina
Loredana Capone,  Assessore Regionale all’Industria turistica
Prima Sessione: Idee e strumenti per la progettazione e la gestione dei Piccoli Musei 
Introduce e modera Gennaro Pisacane, VicePresidente APM
Ore 16.10:  Il nuovo Scenario dei Piccoli Musei, Giancarlo Dall’Ara – Presidente APM
Ore 16.30Patrimonio culturale e turismo a misura d’uomo, Valeria Minucciani, professore aggregato di Allestimento e Museografia del Politecnico di Torino, responsabile APM Piemonte
Ore 16.50: Presi nella Rete. Una nuova ricerca sulla reputazione on-line dei Piccoli Musei, Nicolette Mandarano
Seconda sessione: Piccoli Musei e Turismo
Ore 17.10: Tourism appeal e piccoli musei: il valore dell’identità, Simonetta Pirredda, responsabile APM Veneto
Ore 17.30Il Museo della Bora di Trieste, Rino Lombardi responsabile APM FVG
Ore 17.50:  Viaggio in una città intorno a una stanza delle meraviglie, Lucilla Boschi Museo Tolomeo Bologna
Ore 18.10Un nuovo turismo è possibile: dal turismo di massa al turismo storico-culturale, Veronica Ramos APM/Emilia Romagna
Ore 18.30: Raggiungere, coinvolgere, e creare economie con i pubblici culturali, Vitalba Morelli, Co-Foundr TuoMuseo
Ore 18.50: Conclusione

SABATO, 8 ottobre 2016
Ore 9.30: introduce e  modera Stefan Marchioro, responsabile APM Veneto
Ore 9.45: Saluto di Giorgio Gallavotti, direttore del Museo del Bottone di Santarcangelo di Romagna, in rappresentanza dei Piccoli Musei associati all’APM
Terza Sessione: i piccoli Musei e il territorio
Ore 10.05: Partecipazione e cittadinanza attiva nella gestione museale. Dall’ “Edumuseo” al progetto “Coordinamento dei Consigli dei Ragazzi dell’Empolese-Valdelsa”, Alfani Ilaria, Gloria Bernardi, Marzio Cresci, MusArc di Montelupo Fiorentino
Ore 10.25: Guide turistiche e Piccoli Musei, Daniela Bacca
Ore 10.45: La Casa-museo della Civiltà Contadina e della Cultura Grika Calimera, Silvano Palamà, resp. APM Puglia
Coffee break
Ore 11.20: Il progetto izi.TRAVEL: stato dell’arte in Sicilia nella co-creazione di audioguide per i musei e il territorio e nuove opportunità per la rete dei Piccoli Musei, Elisa Bonacini, resp APM Sicilia
Ore 11.50Museo Civico di Storia Naturale del Salento Calimera, Antonio Durante direttore Museo Civico di Storia Naturale del Salento
Ore 12.05: I Musei Unisalento: strategie di inclusione e pratiche di condivisione del sapere, Anna Maria Miglietta, Grazia Maria Signore Musei UniSalento
Quarta sessione: nuove sfide e nuove opportunità per l’APM
Ore 12.35AmaMusei & AmaCittà, Naresh Coppola Neri, Janus
Ore 12.50: Appuntamento per il IX Convegno Nazionale. Daniela Cini, resp. APM Marche
Ore 13.10: conclusioni
Ore 16.00: dopo la  conclusione del Convegno, per coloro che vogliano e possano restare, ci sarà la possibilità di effettuare in pullman (o con le auto per chi ha l’auto propria), un tour con visite guidate gratuite in alcuni comuni della Grecìa Salentina.
La partecipazione al Convegno è libera e gratuita
Per registrarsi e per informazioni, segreteria organizzativa:
Circolo Culturale Ghetonìa    
info@ghetonia.it

museo storico di Lecce puglia musei

5 buoni motivi per visitare il Museo Storico di Lecce secondo Giuseppe

All’ombra del campanile di Zimbalo, tra eleganti palazzi signorili, balconi bizzarri e chiese silenti, risiede su via degli Ammirati Il Must – Museo Storico di Lecce. Il museo, che un tempo ospitava l’antico monastero di S. Chiara, è un luogo carico di rinnovate confluenze e relazioni socio-glocali.

Visitare il Must non vuol dire soltanto andare al museo per le collezioni dedicate all’arte contemporanea, ma interagire con questa struttura museale significa:

1.

avere un punto di ritrovo per famiglie dove la creatività dei più piccoli è incoraggiata tramite le arti narrative;

2.

percepire le bellezze storico artistiche di Lecce con il servizio di prenotazione guide turistiche e di noleggio bici;

3.

assistere e partecipare come cittadinanza attiva alle iniziative culturali;

4.

 degustare un buon caffè ed altre specialità gastronomiche grazie alla Caffetteria del museo,

5.

 e soprattutto essere in dialogo con l’arte e la memoria storica del territorio attraverso le suggestioni culturali del presente.

 

 


 

giuseppe-arnesano

Giuseppe Arnesano, storico dell’arte e giornalista-pubblicista, è laureato in Conservazione dei Beni Culturali all’Università del Salento e in Storia dell’Arte Moderna presso l’Università La Sapienza di Roma; attualmente è impegnato in un Master di alta formazione post laurea organizzato dal LUISS Creative Business Center. Ha collaborato con la Soprintendenza Speciale del Polo Museale Romano durante la mostra su Antoniazzo Romano a Palazzo Barberini. Curatore indipendente,  dal 2008 scrive su varie riviste nazionali d’arte e cultura quali Artribune e Il Bollettino telematico dell’Arte. Blogger con L’arte tra le righe e con CoolClub.it, nel 2011 fonda l’associazione culturale Fermenti Intraprendenti. Vive e lavora tra Roma e Lecce. (Ph. Chiara Vignudelli)


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museo diocesano lecce puglia musei

4 buoni motivi per visitare il Museo Diocesano di Lecce secondo Federica

1. Un percorso nella storia

In 10 anni che vivo a Lecce, ho visitato per la prima volta questo museo grazie alle Invasioni Digitali, organizzate dall’associazione culturale AMiCA. Posso dirvi che il Museo Diocesano d’Arte Sacra di Lecce non è solo un museo, è un percorso a ritroso nella storia.

Ciò che lo rende fondamentale è la testimonianza del ruolo svolto dalle istituzioni ecclesiastiche sul territorio non solo da un punto di vista sociologico e politico, ma anche culturale ed artistico.

2. Una collezione affascinante

Sono rimasta assolutamente affascinata dalla collezione: dalle opere di pittura napoletana di Oronzo Tiso alla splendida pala del Martirio di Sant’Orsola e le compagne di Paolo Finoglio.

3. L’allestimento

Ho apprezzato l’attenzione spesa nell’allestimento delle sale e nella struttura del percorso, frutto, credo, di un restyling recente. L’unica pecca, alcune luci sulle opere che, da certe angolazioni sono invisibili, ma è un difetto comune anche ad allestimenti di maggior pregio.

4. Una location mozzafiato

La location poi è davvero bellissima: il chiostro è molto suggestivo e vi consiglio di andarci in un giorno di pioggia perché la luce e l’atmosfera sono davvero particolari e se ci si scorda della porta automatica a vetri dell’ingresso, si può bene immaginare di viaggiare indietro nel tempo.


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Federica Nastasia. Classe 1985. Giornalista ed appassionata d’arte in gran parte delle sue forme.


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museo diffuso cavallino puglia musei

4 buoni motivi per visitare il Museo diffuso di Cavallino secondo Loredana

1. Un balcone sulla storia

Un cancello di ferro zincato è l’ingresso da Piazzetta Fratelli Cervi al Museo diffuso di Cavallino. Il balcone sulla storia è un ingombro metallico stridente con la bellezza del paesaggio circostante.
Una signora capelli corvini, ricci, tagliati a carré corto sul collo,  ha gli occhi segnati da una spessa matita nera e  mi chiede se sono la guida che i ragazzi stanno aspettando e se può sciogliere il cane che ha al guinzaglio tanto è buono ed è attratto solo dalle cagnoline. No, io non sono la guida, sono qui per perdermi per un paio d’ore in un luogo a me caro.

2. Civiltà che si mescolano

E’ un primo pomeriggio di metà Ottobre, un leggero vento di maestrale e il sole splendente rendono i colori accesi, il verde dei prati  è più verde, il sentiero in terra rossa è rosso più che mai. Il  muro di cinta in pietre a secco a destra non ha nulla a che fare coi Messapi. Sono trenta ettari di terreno dove cresce spontaneamente la rucola, il tarassaco, la cicoria, la calendula, la malva. Dove i cumuli di pietre, le specchie, le pagghiare i fichi si confondono con le tombe, con le fortificazioni, con i resti delle case del villaggio arcaico.

3. Là dove c’era una città ora c’è l’erba

Passeggiando sui prati, prima ancora di arrivare nella zona nord-est dove è condensato il maggior numero di reperti riportati alla luce,  sentirete forte la presenza di qualcosa sotto i vostri piedi. Immagino che la maggior parte di voi camminando sui lastricati o sull’asfalto di una qualsiasi città contemporanea pensi ai prati che c’erano prima sotto.
Qui lo stesso ragionamento, ma al contrario.
Cammini su un prato ma sai che sotto ci sono i resti di una antica civiltà con le sue strade e le sue case. Quello che è successo qui nel V secolo a.C. è evidente nei segni lasciati sulle fortificazioni distrutte, sulle mura bruciate delle abitazioni, nelle cisterne d’acqua riempite di pietra.
Una distruzione violenta.
Impensabile nel quadretto arcadico di questo pomeriggio dove tutto trasmette pace e tranquillità, come solo un paesaggio rupestre può fare.
Se non fosse per le sagome dei guerrieri messapici in ferro battuto, opera di Ferruccio Zilli.

4. La quiete

Da bambina, parlo metà degli anni Settanta, intorno ai sassi della porta Nord ci giocavo con la mia amica Teresa  a “tuddhri” e a nascondino.  Suo padre coltivava il tabacco e il grano in quella terra fertilissima.  E malediceva i divieti di arare in profondità.
Sul finire degli anni Ottanta ci accompagnavo i miei amici olandesi della Libera Università di Amsterdam, studenti di archeologia a Lecce con Erasmus.
Ora ci torno per l’eternità che trasmette e per il senso di quiete.
La superficie delle cose è molto spessa a volte per poter arrivare in profondità, ma non qui.


Loredana Potenza di Cavallino, seppur per caso nata a lecce. Attualmente abito a Corigliano d’Otranto. Studi di archeologia mai completati. Il più bel ricordo lo scavo a Valesio con la Libera Università di Amsterdam, spedizione diretta dal prof. Boersma. Attualmente sono impegnata nel lavoro come responsabile alla segreteria e alla comunicazione di un’agenzia di rappresentanza nel settore casa e arredo. I figli sono cresciuti e coltivo i miei interessi : contemplazione dei paesaggi, passeggiate al mare soprattutto in inverno, scrittura creativa. Non ho molto da dire su me stessa . Bisognerebbe conoscermi di persona.


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museo della radio tuglie puglia musei

6 buoni motivi per visitare il Museo della Radio di Tuglie secondo Alessandro

1. Un secolo di storia

Sensazione vaga ma che resiste, pensare al museo come un luogo che contiene memoria. La serie incredibile di storie contenute al suo interno e narrate, forse, da qualche esperto in materia o appassionato del momento, non sembra avere la forza di superare le mura che lo separano dal mondo intorno; toccare con mano e provare a far funzionare un grammofono o il caro telegrafo è un’esperienza invece che lascia qualche traccia e la curiosità di intuire di quanto siamo lontani da un mondo, quello della radio, che continua praticamene a trasmettere da ormai più di un secolo.

2. Il capoturno diventato collezionista

Il museo della Radio di Tuglie è aperto dal 1995, ma l’idea di uno spazio disposto a farci capire di più del nostro passato probabilmente già esisteva nella testa di un collezionista che dagli anni Sessanta ha messo da parte tutto ciò che la sua mansione di capoturno della stazione radio di bordo per la Marina gli ha permesso. La stessa persona che ora si prende cura ed è responsabile di tutta una serie di apparecchi voluminosi e davvero fuori dal tempo, quelli proposti nella visita virtuale e non al museo.

3. Ricorrenze importanti

Il 2014 è stato un anno importante per la radiofonia italiana, di cui la RAI è testimone fondamentale. Si è celebrato il novantenario della messa in onda di quella che noi moderni possiamo definire come la prima trasmissione radiofonica: il 6 ottobre del 1924 la violinista Ines Viviani Donarelli fece il primo annuncio presentando il Quartetto in La maggiore, opera 2 di Haydn. Nata quindi sotto il regime fascista, è la prima a comunicare agli italiani la fine della Seconda Guerra Mondiale e a fare sentire gli abitanti del Belpaese un po’ più uniti e volendo anche più istruiti rispetto al resto del Mondo. Almeno fino alla metà dei Settanta e perfino con la nascita della Televisione, la Radio è presente in ogni casa. Precisazione doverosa questa, perchè la manualità e il rapporto che si aveva con i primissimi apparecchi era qualcosa di diverso, attivo e portatore di una sana dipendenza che ha ispirato più di qualcuno a seguire ed ascoltare programmi trasmessi da Paesi quali Ungheria, Repubblica Ceca e perfino Estonia. Un modello di “trasmettitore telegrafico Alva Edison” è datato al 1893, qualche anno prima che Marconi spingesse la famosa “S” dalla Cornovaglia agli Usa. L’apparecchio è basato su una carica ad orologeria ed ancora funzionante, così come la più famosa Stazione telegrafica Samuel Morse di produzione italiana:  semplicemente l’unico mezzo usato per tutte le comunicazioni ufficiali e non, almeno fino al 1924 e comunque fino ai Settanta, quando poi è divenuto- per usare le parole del direttore del museo : ”un miraggio dei radioamatori che si scambiavano le card, ovvero una serie di informazioni relative a località, coordinate geografiche e potenza del segnale emesso, in codice morse”.

4. Questioni di divari

Le ricerche in campo a radio-elettrico hanno contagiato studiosi da diverse parti del Globo, alcune portavano ad una svolta come l’invenzione del diodo (una valvola a due elettrodi) ad opera di Fleming, altre alla produzione di ricevitori diversi in tanti dettagli. Il modello “Radiolaphone” è stato costruito in Francia negli anni Venti, i ricevitori a valvole Ansaldo Lorenz e Philips in Italia e Olanda. Il concetto di “diretta” è già nelle case di molte persone, per parlare di cronaca o sport, e quando la televisione è ancora preda di esperimenti inglesi o americani. Nota a margine è il divario tra il forte impulso dato da diversi studiosi italiani per la nascita di questo autentico mondo e il fatto che in Italia la messa a punto del primo programma avviene con notevole ritardo rispetto a Paesi meno evoluti nel settore come Belgio, Austria o la stessa Francia (vi ricorda qualcosa?).

5. Scoprire le differenze

Il 1939 è un anno importante per la storia della radio, lo statunitense Armstrong introduce nelle radiotrasmissioni la modulazione di frequenza. Per scoprire quale sia la differenza tra AM e FM e se tutto questo incide ancora sulle nostre abitudini quotidiane, basta recarsi di persona al museo e dimostrare anche un velato interesse al direttore Salvatore Micali, che comprende ancora una raccolta ad hoc dei ricevitori a valvole più popolari in Italia negli anni Quaranta, divisi tra produzione italiana e tedesca.

6. Dalla prima trasmissione televisiva al Digitale

Da lì a qualche anno cominceranno le prime trasmissioni televisive. Altre storie che si aggiungeranno, con risvolti che per la radio ci portano ai giorni nostri alla scoperta di un universo ancora non ben definito ma che ha già cambiato le nostro ordinarie esistenze: il digitale.


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Alessandro Miglietta, semplice appassionato di radiofonia, con alcuni amici crea nel 2009 tra le prime esperienze di radio web in Italia,  Radio Flo. Attualmente collabora con realtà simili e progetti che cercano di fondere cultura, tecnologia ed eventi  e scrive per una manciata di blog italiani che passano le giornate a discutere delle proprie dipendenze musicali.


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museo memoria accoglienza puglia musei

4 buoni motivi per visitare il Museo della Memoria e dell’Accoglienza di S.Maria al Bagno secondo Dolores

1. Storie di speranza rinnovata

Non lasciatevi trarre in inganno dal nome. Non si tratta dell’ennesimo Museo che racconta dello stermino e della persecuzione del popolo ebraico. Chi varca la soglia si trova all’interno di un luogo che narra una storia diversa, la storia di una speranza rinnovata. Senza ricorrere alla macchina del tempo della saga cinematografica Ritorno al futuro le guide, nelle veci dell’anziano e bislacco inventore “Doc”, vi faranno rivivere quegli anni.

Gli anni tra il 1943 e il 1947 quando nella località di Santa Maria al Bagno le forze militari alleate allestirono un campo di accoglienza (conosciuto come Campo n° 34 o Campo Santa Croce) con lo scopo di accogliere migliaia di profughi ebrei di diversa nazionalità, in gran parte provenienti dall’Europa centrale e scampati ai campi di concentramento nazisti.

2. I Murales

La vera chicca è rappresentata da tre murales realizzati dall’ebreo-romeno Zivi Miller, reduce dai campi di concentramento dove aveva perduto moglie e figlio. Si tratta di opere uniche nel panorama dei reperti legati a quel periodo attraverso le quali, utilizzando un’iconografia semplice ma efficace, Zivi non racconta gli orrori che aveva vissuto prima di arrivare a Santa Maria al Bagno, preferisce invece dipingere la speranza di coloro i quali, sopravvissuti alla Shoah, prefiguravano il proprio futuro in Palestina, la Terra Promessa.

3. La Storia d’amore

Per gli inguaribili romantici c’è spazio anche per una storia d’amore. All’interno del campo di accoglienza Zivi Miller gestisce una piccola lavanderia e decide di assumere come assistente la sua giovane vicina di casa Giulia My.  Con questa ragazza, dagli occhi svegli e il fisico gracile, Zivi riesce ad aprirsi e a raccontare della sua vita così,  racconto dopo racconto giorno dopo giorno, i due si innamorano perdutamente e nonostante l’ostilità del padre di lei, per la differenza di età e di religione, decidono di ricorrere alla “fuitina” per poter stare finalmente insieme.

4. Rosso di sera…

Perché dunque dovrebbe interessare un Museo come questo? I motivi sono numerosi perché si tratta di un luogo impregnato di storia, di emozioni, di racconti di vita. Perché il panorama che si gode, da solo merita la visita: un tratto di costa dove il mare è sempre cristallino e sarà difficile resistere alla tentazione di fare un tuffo  o di scattare una foto all’ora del tramonto quando il sole infiamma il cielo che “si veste di mille colori tra accesi arancioni e biondi pallori”.

Allora cosa aspettate? Il Museo della Memoria e dell’Accoglienza vi aspetta!


Dolores De Tuglie Laureata in Tecnologie per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali quando non è impegnata come guida in un museo partecipa a  diverse attività. Quella che più ama è sicuramente il bricolage. Il suo motto? “Perchè ricorrere a professionisti se a “combinare pasticci” ci riesco benissimo da sola?”

Vorrebbe essere come S. Antonio! Non perché aspiri alla santità, ma per avere il dono dell’ubiquità. Quindi guardatevi le spalle, non esiste luogo in cui non possiate incontrarla e se ne vedete due non preoccupatevi…l’ ubiquità, forse, le è stata concessa!


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museo giunco palustre acquarica puglia musei

3 motivi per visitare il Museo del Giunco di Acquarica del Capo secondo Maria Rosaria

1. Qualcosa di prezioso

Ho visitato per la prima volta il Museo del Giunco Palustre in occasione di un corso di formazione per guide turistiche poco più di un anno fa, sebbene ci viva quasi accanto.
Lo spazio dedicato all’esposizione è piuttosto contenuto, ma è inevitabile visitarlo con la lentezza che si dedica a quelle cose preziose, che meritano di essere osservate con minuziosa curiosità. Perché entrare nel museo è come entrare all’interno di una gioielleria: da una teca all’altra, si moltiplicano forme, colori e intrecci che rimandano ad un tempo passato, ma non poi così lontano.

2. La semplicità delle cose

Il giunco palustre è l’emblema della vita essenziale e concreta dei nostri nonni: materiali modesti si trasformano in strutture elaborate, con la cura e la passione amorevole di chi anche nelle cose più semplici, nate con spontaneità quasi per caso, vede un dono della natura.

3. L’infanzia che ritorna

In quelle costruzioni d’arte non potevo fare a meno di pensare a mia nonna. Quante volte ho osservato quelle mani solerti che tessevano “sporte”, “spurteddhe”, “fiscareddhi” per contenere la ricotta. Ricordo la scelta accurata del giunco migliore, i lavaggi per sbiancarlo e raggiungere la migliore raffinatezza possibile.
Così in quegli orditi del museo del giunco è rimasto imbrigliato anche un pezzo della mia vita.


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Maria Rosaria Cazzato è dottore commercialista dal 2013 lavora per un’agenzia di Lecce, ma non è estranea alle attività culturali, infatti ha alle sue spalle esperienze nell’organizzazionedi eventi culturali nel comune di Presicce.


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museo della civiltà contadina

3 buoni motivi per visitare il Museo della Civiltà Contadina di Tuglie secondo Barbara

1. Il bisogno aguzza l’ingegno

Ho sempre pensato che il Museo della Civiltà Contadina di Tuglie fosse una sorta di stargate capace di catapultare il visitatore nel passato: un passato sicuramente problematico e pieno di privazioni ma autentico, genuino. Ho sempre cercato di immaginare come fosse la vita raccontata dai miei nonni: possibile che in passato realmente “nu se minava via nenzi?”. E il fatto di trasformare la cenere o l’olio in detersivo per la biancheria? Pura alchimia! Ebbene, grazie a questo incantevole luogo, tante e tante altre mie curiosità sono state soddisfatte. Gli attrezzi più disparati e bizzarri raccolti in questo museo, non sono solo una testimonianza dell’arte dell’arrangiarsi dei nostri nonni ma anche della genialità che portava queste persone a inventare strumenti per rendere le loro vite un po’ meno complicate. Ricordo ad esempio la mia sorpresa di fronte ad un aggeggio buffo simile ad una trottola, fatto di legno, spago e una punta d’acciaio. -È per caso un giocattolo?- chiesi.
Signorina, questo è uno “Cconza ‘mbili”. Serviva per aggiustare i piatti in terracotta che si rompevano. Fungeva come una sorta di trapano- spiegò la guida.

2. Non si facevano mancare nulla

Recarsi al Museo della civiltà contadina inoltre, è un’occasione per visitare il Palazzo Ducale che lo ospita. Particolarità del Palazzo è che nonostante sia ubicato nella piazza del paese, tra stradine e vichi, abbia alle sue spalle ettari di campagna. In questa campagna, attraversata dalla ferrovia, i nobili che un tempo abitavano il Palazzo, ebbero una bizzarra trovata: fecero creare una fermata apposita per loro, delineata da un piccolo cancelletto ancora oggi visibile. I treni che circolavano per quella direzione, avevano l’obbligo di fermarsi in corrispondenza di quella fermata privata. Essere ricchi e nobili, significava anche questo.

3. Impara l’arte e mettila da parte

Il Museo offre inoltre vari servizi e attività come la masseria didattica che permette a grandi e piccoli di conoscere le piante e i loro frutti, di coltivare il baco da seta, di apprendere a produrre burro e formaggi, confetture e miele.


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Barbara Cataldo nasce a Parabita nel 1984. Laureata in Lingue e Letterature Straniere, collabora spesso con scuole di lingua italiana del luogo nelle vesti di guida turistica, permettendo anche a stranieri di tutto il mondo di apprezzare e godere delle bellezze del Salento.


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museo Cavoti galatina puglia musei

4 buoni motivi per visitare il Museo Civico P. Cavoti secondo Barbara

1. Uno scapigliato

Il Museo Civico Cavoti non lo conoscevo, ci sono arrivata grazie a MuseoWebLab e al contest “Tipi da museo” ed è stata una bella scoperta. Al suo interno si ha la possibilità di avvicinare la storia di tre personaggi che, in modo diverso, hanno dato lustro alla città di Galatina. Si tratta di Pietro Cavoti, un artista poliedrico che ha dedicato gran parte della sua vita allo studio della Basilica di Santa Caterina che, oggi, attrae numerosi pellegrini e turisti. La versatilità di questo personaggio passa per le numerose caricature prodotte, i taccuini di viaggio pieni di dettagli e schizzi minuziosi, risultato del suo continuo peregrinare. Cavoti resta nelle memorie dei galatinesi come un artista un po’ strano, uno “scapigliato”, a tratti trasandato, di lui si conservano nel museo una valigia, un ombrello e un cappello. Basta questo per immaginarselo con un mantello nero che lo rende quasi iconico, irreale, sfuggente.

2. Un visionario e un sindacalista

Altri due personaggi sono prova del fitto fermento culturale che animava Galatina: lo scultore Gaetano Martinez e il sindacalista Carlo Mauro. A Martinez la città di Galatina deve la scultura posta al centro della fontana monumentale, nota ai locali come “La Pupa”, e molti altri lavori tra cui “Caino”. Dinanzi a quegli occhi sgranati, un tumultuo percuote il petto e sembra quasi di percepire il terrore di Caino dopo l’atto estremo: aver ucciso il fratello Abele.
Non conoscevo la storia di Carlo Mauro, delle lotte portate avanti in nome dei diritti contadini. È stata una fortuna essermi trovata lì e aver appreso tante cose in un giorno, tutte provenienti dalla storia del mio territorio, il Salento. Mi hanno colpito le piccole e grandi conquiste contadine che Carlo Mauro contribuì a raggiungere: il passaggio da “lu capucciu” a “lu panaru” o il primo contratto di lavoro.

3. Cose che non ti aspetti

Il museo, oltre a una ricchissima collezione di taccuini di viaggio e documenti riferibili a Cavoti, ha una sala detta informalmente “degli uccelli” dove sculture in legno permettono di conoscere specie di uccelli che, diversamente, resterebbero ignote. Una sala, questa, che riscuote consensi e non, c’è chi ne è attratto e chi ha paura di entrarvi.
Poi c’è la sala dedicata alla pizzica, qui alcuni quadri ripercorrono scene salienti del “morso” e i suoi effetti.

4. Scottanti verità

Questo museo mi ha svelato parte della mia storia e quella di un territorio, il Salento, facendomi ravvedere su una scottante verità: sappiamo poco o nulla sulle persone che hanno contribuito a migliorare il posto in cui viviamo, con l’arte e le battaglie. Quanti musei del nostro territorio conosciamo, quanti ne abbiamo visitati?
Poi c’è un punto importante: il Museo Cavoti di Galatina dovrebbe promuoversi meglio, forse. La colpa è sempre divisa al 50%: io ho sì trascurato di andare a visitare il museo, fino a ieri, quest’ultimo, probabilmente, non ha fatto abbastanza per comunicarsi, per tutte le “chicche” che conserva al suo interno.


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Barbara Vaglio. Mi piace scrivere e un giorno mi piacerebbe che il mio lavoro sia proprio questo, scrivere. Per farlo bene benissimo ho ancora tanto da leggere, imparare e migliorare. Per il momento sono web content editor, redattrice freelance, mi occupo di guest blogging e digital pr. Mi do da fare per quello che posso. Adoro andare in bici e, in sella, ho l’impressione di avere le idee più chiare e più buone. (Ph. Filomena Massaro)


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